I diplomati magistrale che sono in possesso di un decreto di conferma in ruolo, indipendentemente dalla circostanza che in esso sia apposta una riserva, vantano una pretesa legittima nei riguardi del Governo italiano e del suo Ministero dell’Istruzione e del Merito. Infatti, l’aver superato l’anno di formazione e prova con decreto, l’avere svolto attività didattica presso le scuole statali con contratto a tempo indeterminato, per un numero di anni, talvolta anche superiori ai 36 mesi, è considerato titolo equiparabile all’abilitazione, secondo i principi enunciati nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13 (cd. sentenza Mascolo).

Il decreto di superamento dell’anno di prova garantisce il diritto ai DM

Il decreto di superamento dell’anno di prova è il documento che oggi deve garantire questo diritto ai DM. E questo perché, l’immissione in ruolo con riserva, imponeva alla PA procedente – ex articolo 97 della Costituzione –  di rinviare l’emissione dei decreti di conferma in ruolo alla definitiva conclusione dei giudizi. In questo caso, infatti, il docente non avrebbe dovuto ricevere un decreto di superamento dell’anno di prova, che si sarebbe dovuto rimandare in attesa dell’esito del procedimento. Ma così non è stato. Perché ai DM, poi depennati – è stato certificato e decretato –  un percorso formativo conclusosi in modo definitivo e con successo e che, come tale, oggi, presenta valore abilitante al pari del superamento di una prova concorsuale. Ma vi è di più e molto!

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Violazione delle norme comunitarie

Il Governo italiano, previa contrattazione con i sindacati, aveva un preciso obbligo: ovvero limitare l’efficacia del mutamento giurisprudenziale, ai soli giudizi promossi dopo il deposito della decisione dell’Adunanza Plenaria atteso che il “principio della certezza del diritto esige, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese”. E ciò perché, a parere di chi scrive, si è consumata una grave violazione delle norme comunitarie in relazione ai seguenti principi:

  1. La circostanza che la docente abbia superato il periodo di formazione e prova con una attestazione –  il decreto di conferma in ruolo – delle competenze fondamentali ai fini dell’insegnamento, grazie a un percorso di formazione e prova durato 180 die.
  2. La discriminazione subita anche rispetto agli altri docenti a termine inseriti nelle graduatorie permanenti, poi trasformate in GAE., in quanto in base all’art. 2, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), c-ter), commi 1-bis e 1-ter della legge n. 143 del 4 giugno 2004, per ottenere l’inserimento nelle graduatorie permanenti era sufficiente la frequenza di corsi speciali abilitanti, di durata annuale, riservati ai docenti in possesso di 360 giorni di servizio.
  3. Lo Stato italiano ha violato anche le disposizioni comunitarie in quanto ha trasformato con decreto-legge tutti i contratti a tempo indeterminato in contratti a termine e ha unilateralmente ridotto la loro portata.
  4. Tali interventi sono stati disposti dal Governo senza alcun negoziato preventivo nonostante la norma comunitaria obblighi lo Stato a promuovere un meccanismo per negoziati volontari sulla regolamentazione dei termini e delle condizioni di impiego, procedura indubbiamente necessaria nel caso di specie quantomeno per il numero dei docenti coinvolti e le ricadute sociali dell’intervento del Governo.
  5. La violazione della normativa comunitaria in materia di precariato. L’Italia ha infine violato anche i principi di certezza giuridica e di tutela dell’affidamento, di cui agli artt. 6 e 13 CEDU. e all’art. 1 del prot. 1 in quanto il Consiglio di Stato, prima delle decisioni dell’Adunanza Plenaria, aveva costantemente rimarcato: la natura abilitante del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002, -l’efficacia erga omnes delle sentenze di annullamento dei DM. di aggiornamento delle GAE. e – la reviviscenza dell’interesse ad agire dei soggetti illegittimamente esclusi, i quali vengono pertanto rimessi in termini per effetto della pubblicazione di un nuovo decreto di inserimento o aggiornamento delle GAE, posto che solo gli atti meramente confermativi non sono autonomamente impugnabili.
  6. Queste sono le basi della nostra azione collettiva risarcitoria.

Avv. Angela Maria Fasano  &  Avv. Stefania Fasano