I permessi retribuiti con adeguata giustificazione sono un diritto riconosciuto ai lavoratori, come stabilito da vari contratti collettivi e normative nazionali. Il rifiuto può avvenire se la richiesta non rispetta i criteri formali previsti dalla normativa o dal contratto, oppure in caso di esigenze organizzative stringenti che non permettono l’assenza del lavoratore. In questi casi, è necessario che il datore di lavoro fornisca motivazioni adeguate per il rifiuto. Ne abbiamo parlato con l’Avvocato Maria Rosaria Altieri.
Permessi retribuiti: la normativa
Su questa questione -ricorda l’Avvocato Altieri – si è espressa la costante giurisprudenza e anche l’ARAN. Partiamo come sempre dalla norma di riferimento che è l’art.15, comma 2, del CCNL 2006-2009, che dispone che “Il dipendente della scuola con contratto di lavoro a tempo indeterminato, ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione”.
Sul punto, l’ARAN, con parere 2698 del 02.02.2011 ha chiarito che non è prevista dal Contratto la valutazione o la discrezionalità̀ del Dirigente sulle motivazioni addotte dal richiedente il permesso, e che né il Contratto (né altra norma di legge) contiene una elencazione esplicativa e dettagliata di quali siano i motivi personali e o familiari per cui è possibile fruire dei permessi. L’ARAN ha avuto modo di chiarire che il dipendente è tenuto a fornire una motivazione, personale o familiare, che deve rappresentare il presupposto giustificativo del permesso. Il Dirigente Scolastico valuterà solo quanto autocertificato dal dipendente in ordine alla sua veridicità, disciplina normativa sulle
autocertificazioni (DPR 445/2000).
Il Dirigente Scolastico non può sindacare sui motivi
In ogni caso i motivi addotti dal lavoratore non sono soggetti alla valutazione del Dirigente Scolastico. Infatti, la clausola prevede genericamente che tali permessi possono essere fruiti “per motivi personali e familiari” consentendo, quindi, a ciascun dipendente, di individuare le situazioni soggettive o le esigenze di carattere personale o familiare ritenute più opportune ai fini del ricorso a tale particolare tutela contrattuale.
Quanto alla possibilità del DS di conoscere i motivi personali e familiari sottesi alla richiesta di permesso, la giurisprudenza di merito (ex multis, Corte d’Appello di Firenze, sent. n. 833/2021), ha chiarito che non basta un generico riferimento a “motivi personali o familiari”, ma occorre indicare, sia pure genericamente e succintamente, i motivi personali o familiari posti a fondamento della richiesta.
I permessi sono un diritto
I permessi retribuiti per motivi personali o familiari sono da qualificarsi come un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore, non subordinato a valutazioni del Dirigente Scolastico e fruibile per effetto della mera presentazione della relativa domanda. Inoltre, nel novero dei motivi “personali o familiari” possono dunque rientrare tutte quelle situazioni ritenute dal dipendente di particolare rilievo, siano esse attinenti al proprio nucleo familiare o alle proprie esigenze individuali (Tribunale di Fermo, sent. n. 53 del 26.05.2020).
Addirittura la Corte d’Appello di Caltanissetta, con la recente sentenza n. 286/2023 ha ritenuto valida la motivazione del permesso da parte della docente per recarsi a “Catania a fare acquisti”. La Corte ha precisato che il doversi recare fuori sede per fare acquisti è una motivazione compatibile con il carattere personale del permesso anche se gli acquisti hanno riguardato generi o servizi non presenti e/o fruibili presso la sede di residenza dell’insegnante, ovvero fruibili in orario solo in orari sovrapponibili a quello di lavoro.