Lorenzo Fioramonti è stato ministro dell’Istruzione durante il governo Conte bis, da settembre a dicembre 2019. In merito allo stato di ‘salute’ della scuola pubblica, abbiamo chiesto all’ex ministro: 1) A quasi 5 anni di distanza dal suo mandato, come vede, allo stato attuale, la scuola pubblica italiana? Più luci o più ombre? 2) I soldi del PNRR stanno spingendo l’assunzione di 70mila docenti, quei soldi che quando era ministro Lei mancavano e che più volte Lei reclamò: secondo Lei, si terrà fede ai patti con Bruxelles? I concorsi sono da considerarsi sempre la strada giusta o ci sono delle alternative?
L’ex ministro Lorenzo Fioramonti: ‘Scuola, Cenerentola d’Italia di un settore che non investe’
‘A distanza di cinque anni – ha esordito il ministro Fioramonti – vedo la situazione della scuola italiana più o meno come l’avevamo lasciata. Anzi, dopo il Covid, credo che la situazione sia anche peggiorata. Ci sono tanti presidi e tantissimi insegnanti che si danno da fare, ma la situazione complessiva è ancora quella della Cenerentola d’Italia di un settore in cui non si investe, dove si continua a pensare che possa essere accettabile avere oltre 20-25 studenti, a volte anche oltre 30, in un’unica classe dove molti insegnanti continuano ad essere precari, dove si continua a pensare alla scuola, come l’ultimo settore, diciamo l’ultima istituzione del Paese, quando, in realtà, dovrebbe essere la prima. Sicuramente, gli investimenti arrivati con il PNRR sono importanti, se riusciremo a utilizzare quei fondi in maniera oculata e intelligente.
‘Le assunzioni ben vengano, le avevamo chieste 5 anni fa e non ce le avevano date’
‘Le assunzioni sono centrali, sono fondamentali – ha sottolineato Lorenzo Fioramonti – non solo per garantire il diritto allo studio, ma anche per garantire dei numeri all’interno dei gruppi classe che fosse accettabile. Io ho sempre avuto questo sogno: nella scuola italiana non ci possono essere più di 20 studenti in ogni classe. Ho sempre sognato che si possano riaprire le scuole di quartiere, le scuole nelle periferie delle grandi città, che si possano riaprire le scuole nei borghi, nei paesi, perché altrimenti continuiamo a distruggere i nostri paesini. Perché quando non c’è una scuola, dove si chiude una scuola, muore una comunità. Avremmo bisogno di tante piccole scuole, le cosiddette scuole di prossimità’.
‘Dovremmo avere DS di ruolo, insegnanti ben formati e più considerati a livello sociale’
‘Se vi ricordate, questa è la parte della mia idea – rammenta l’ex ministro nell’intervista pubblicata sul canale Youtube – costruire piccole scuole ed evitare invece grandi plessi che, oggi, contengono fino a 4/5mila studenti che sono ingestibili. Invece, dovremmo avere piccole scuole, con un massimo di 600 studenti per ogni scuola. Dovremmo avere presidi, quindi dirigenti scolastici che siano di ruolo, che non siano reggenti, che non distribuiscono il loro poco tempo su troppi plessi perché altrimenti rischiano di fare male il loro lavoro. Poi, avremo bisogno di tanti insegnanti ben formati, corsi di formazione costanti. Abbiamo bisogno, appunto, di una classe di insegnanti non soltanto meglio pagata, ma anche più considerata a livello sociale perché non è soltanto il salario, ma anche la considerazione sociale che si dà ad un ruolo e che oggi, purtroppo, è molto bassa per gli insegnanti in Italia’.
‘La scuola è la leva economica fondamentale di un paese’
‘La scuola è il grande ascensore sociale dove si rigenera l’innovazione che poi costruisce le opportunità di impresa, di lavoro, di cui tanto parliamo ma se non si costruiscono a scuola, non si realizzeranno mai. E il concorso, come dicevo, ben venga, mi dispiace, mi dispiacciono queste polemiche stupide sulla cultura e le lingue nelle scuole. Questa idea che si debba limitare il numero di studenti non italiani nelle classi. Io sono dell’idea che la scuola più internazionale è, meglio è. Così, insomma più lingue si parlano, è più imparano le ragazze e i ragazze italiani.
Noi dovremmo diventare un paese di poliglotti e quindi ogni opportunità che abbiamo di poter conoscere culture diverse, di poterci confrontare con culture diverse diventa un’opportunità di crescita per ognuno di noi.
Mentre, oggi, purtroppo il multilinguismo in Italia è molto ma molto limitato, se pensiamo che ormai parlano l’inglese meglio di noi, non soltanto i paesi più ricchi dell’Europa, ma anche quelli che, fino a qualche anno fa, erano quelli sottosviluppati, dalla Romania all’Albania, dove si parla ormai l’inglese e anche altre lingue molto meglio che in Italia. Se noi pensiamo che possiamo davvero essere competitivi e costruire un’economia solida e una società davvero sostenibile e di lunga durata, attraverso il provincialismo, attraverso il riduzionismo ai confini territoriali, non abbiamo capito proprio nulla, diventiamo sempre più provinciali. Invece, avremmo bisogno di scuole che siano davvero delle fucine di innovazione e che, soprattutto, partano dall’innovazione, dalla tecnologia e dal multilinguismo, basandolo poi su quello che poi è il modello di insegnamento tipico italiano che è un modello umanistico, un modello scientifico, importante e solido che, però, sempre più non riesce a tradurre quella competenza in vere e proprie capacità pratiche, che, poi, sono quelle che fanno la differenza tra un’economia che funziona e un’economia che non funziona’.