La Corte d’Appello di Venezia conferma l’annullamento del licenziamento di un collaboratore scolastico, sancendo il diritto alla reintegrazione e al risarcimento. Un collaboratore scolastico era stato licenziato per giusta causa dal Ministero dell’Istruzione, con l’accusa di aver dichiarato un periodo di servizio presso una scuola paritaria ritenuto falso. Il fatto contestato si riferiva alla domanda per le graduatorie ATA di terza fascia (2018-2021). Inizialmente, il lavoratore aveva fornito documentazione comprovante la veridicità del servizio dichiarato: cedolini paga, certificazione unica, e comunicazioni Unilav e Uniemens. Tuttavia, in seguito a un’ordinanza del GIP che segnalava irregolarità presso alcune scuole paritarie, il Ministero ha riaperto il procedimento, arrivando a licenziare il dipendente.
Licenziamento del CS: la sentenza di primo grado
Il collaboratore, assistito dallo Studio Legale Esposito Santonicola, ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Treviso. La sentenza di primo grado ha dichiarato nullo il licenziamento, ordinando la reintegrazione. Le motivazioni principali sono state:
- Violazione del principio del “ne bis in idem”: Non è possibile sottoporre lo stesso fatto a due procedimenti disciplinari distinti.
- Mancanza di prove concrete: L’ordinanza del GIP non conteneva elementi specifici per dimostrare la falsità delle dichiarazioni del collaboratore.
- Responsabilità amministrative non imputabili al lavoratore: Eventuali irregolarità erano da attribuire alla scuola paritaria, non al dipendente.
- Irrilevanza del punteggio dichiarato: Il servizio contestato non ha influenzato l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore.
La difesa e il ricorso in appello
Il Ministero dell’Istruzione ha presentato appello, sostenendo che l’ordinanza del GIP fosse sufficiente per riaprire il caso. Gli avvocati Esposito e Santonicola hanno contestato tali affermazioni, sottolineando:
- Illecita duplicazione del procedimento disciplinare: La prima contestazione era stata archiviata per mancanza di prove; non c’erano elementi nuovi a supporto della seconda.
- Assenza di prove specifiche: L’ordinanza evidenziava irregolarità generali della scuola, senza indicazioni concrete contro il collaboratore.
- Irrilevanza delle irregolarità amministrative: La gestione contributiva era responsabilità della scuola, non del lavoratore.
- Sproporzione del licenziamento: La presunta irregolarità non influiva sui requisiti per l’assunzione.
La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello del Ministero. Tra le motivazioni principali:
- Applicazione del principio del “ne bis in idem”.
- Mancanza di prove sufficienti a dimostrare la falsità della documentazione.
- Sproporzione del licenziamento rispetto alla gravità del fatto contestato.
La Corte ha quindi disposto la reintegrazione del lavoratore e un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni non percepite, fino a un massimo di 24 mensilità, con il versamento dei contributi previdenziali.