Tante volte abbiamo parlato dei permessi per motivi personali che il personale scolastico può richiedere durante l’anno scolastico. In più occasioni abbiamo discusso della facoltà del Dirigente Scolastico di non accogliere la richiesta di permesso presentata. La Cassazione ha emesso un’importante sentenza che chiarisce la questione: riportiamo qui di seguito il comunicato rilasciato dall’ANP in merito.
I permessi per motivi personali hanno costituito sempre una vexata quaestio
“La fruizione, durante il periodo delle lezioni, dei tre giorni di permesso per motivi personali nonché, per i medesimi motivi, fino a non più di sei giorni di ferie ex articolo 15, comma 2 del CCNL del comparto scuola 2006/2009, costituisce da sempre una vexata quaestio. I profili di criticità, oggetto finora di oscillanti pronunce giurisdizionali di merito, sono:
- la necessità di documentare in maniera dettagliata le motivazioni per le quali il dipendente chiede di fruire del permesso
- i margini di discrezionalità del dirigente scolastico nel concedere i permessi o i giorni di ferie chiesti ai sensi del suddetto articolo.
L’ANP ha sempre sostenuto che i diritti del personale non abbiano carattere assoluto ma debbano essere contemperati con quello all’istruzione degli studenti, previa valutazione delle motivazioni addotte.
Sul punto si è recentemente espressa la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione tramite l’ordinanza 13 maggio 2024, n. 12991 che ha corroborato, con una cristallina interpretazione delle norme pattizie, le sentenze già pronunciate in senso favorevole all’Amministrazione nei primi due gradi di giudizio.
La sentenza della Cassazione
La Cassazione ha confermato la correttezza della decisione del dirigente scolastico di negare a un dipendente la fruizione del permesso muovendo dalla considerazione che la disciplina contrattuale di cui all’articolo 15, comma 2, del CCNL di comparto per il quadriennio 2006/2009, “[…] essendo formulata in termini tali da richiedere che il diritto a tre giorni di permesso retribuito riconosciuto al dipendente, a domanda, nell’anno scolastico, sia subordinato alla ricorrenza di motivi personali o familiari che il dipendente è tenuto a documentare anche mediante autocertificazione, rifletta l’esigenza che si tratti pur sempre di un motivo idoneo a giustificare l’indisponibilità a rendere la prestazione, il che comporta che quel motivo sia adeguatamente specificato e che il dirigente al quale è rimessa la concessione abbia il potere di valutarne l’opportunità sulla base di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze, condizione nella specie non riscontrabile, non risultando dalla motivazione addotta a giustificazione della richiesta (dover accompagnare la moglie fuori Milano) specificata e documentata, anche sulla base di una mera autocertificazione, l’esigenza dell’assenza dal lavoro […]”.
Quindi, una volta per tutte, la Suprema Corte ha statuito la ferrea necessità di motivare, adeguatamente e specificatamente, le richieste di permesso; in assenza di motivazione o se la motivazione non è adeguata a giustificare l’indisponibilità del lavoratore a rendere la prestazione, il permesso non va concesso.
È importante sottolineare che il lavoratore è tenuto a fornire la motivazione perché solo così il dirigente è posto in grado di esercitare le sue funzioni che, nella fattispecie, consistono nel bilanciare l’interesse del richiedente con la contrapposta esigenza di regolarità del servizio nonché nel decidere se concedere o no il permesso. Non si tratta, in altri termini, di conculcare un diritto del dipendente ma di contemperarlo non già con astratte esigenze organizzative ma con l’effettività del diritto all’istruzione, costituzionalmente garantito”.