Immissioni in ruolo e stabilizzazione precari, chi insegna da anni nella scuola pubblica italiana come supplente ne ha già viste di tutti i colori ma l’ultima riforma del reclutamento sta assumendo i connotati dell’ennesima beffa. Pagare fior di quattrini per conseguire l’abilitazione, per partecipare a un concorso senza avere alcuna garanzia di essere assunti, anzi. C’è chi l’ha ribattezzata la ‘mercificazione delle competenze’, ovvero ‘quando il ruolo diventa business‘.
Stabilizzazione precari, non basta pagare l’abilitazione per entrare di ruolo
La riforma del reclutamento prevede il conseguimento di 60 CFU per poter partecipare ai prossimi concorsi per l’immissione in ruolo. Quindi, per prima cosa, bisogna pagare per conseguire l’abilitazione che permette di partecipare ad una procedura selettiva come un concorso. Poi, naturalmente, bisogna vincere il concorso (non basta superarlo perché gli idonei, ovvero i candidati che hanno ottenuto il punteggio minimo ma non rientrano nel numero di posti banditi, resteranno fuori dalle assunzioni).
L’accesso all’insegnamento è un business
Luigi, docente di italiano, storia e geografia, ha sottolineato come la cosa scandalosa è che si paga per rimanere precari. ‘Anche chi vincerà il concorso in via di svolgimento – ha spiegato Luigi a ‘Il Manifesto’ – dovrà in ogni caso conseguire altri 30 CFU ma non ci saranno graduatorie a scorrimento, per cui dovremo ricominciare daccapo e partecipare ad altri futuri concorsi. È una tassa sull’intenzione di fare il professore. L’accesso all’insegnamento è un business: dietro la facciata di un processo selettivo, c’è l’interesse ad alimentare l’indotto economico che ruota intorno ai concorsi’. Non basta, quindi, barcamenarsi tra sacrifici, spostamenti lontano da casa e spese, talvolta ingenti, da affrontare per poter insegnare come precario. Bisogna pagare per non essere, comunque, certi di un’assunzione a tempo indeterminato, bisogna pagare per ‘almeno provarci’.
Scegliere se frequentare il percorso abilitante senza guadagnare o accettare una supplenza
Mario, invece, insegna materie giuridiche. Ha confessato la sua indecisione di fronte a una scelta davvero difficile: pagare oppure rinunciare all’insegnamento. ‘Sono un bravo insegnante – ha dichiarato Mario – ho anche superato l’esame per diventare avvocato, ma sono stato sorpassato in graduatoria da chi ha comprato titoli all’estero con 6 mila euro. È un’eclatante compravendita’.
Assunta, insegnante calabrese, insegna da 10 anni. “Ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto: mi sono specializzata, mi sono formata e non è bastato. A settembre dovrò scegliere se frequentare il corso senza guadagnare o accettare una supplenza“. Marta, docente a Bologna, si è fatta qualche domanda: ‘Come migliaia di colleghi precari, lavoro da anni senza i crediti, adesso mi dicono che non basta la mia preparazione e che devo fare dei corsi. Obbligheranno anche chi è di ruolo? Qui non si tratta di rinunciare a una pizza ma di sacrificare il corrispettivo di due o tre stipendi’.