L’associazione sindacale Anief è tornata a parlare di pensioni: secondo il presidente Marcello Pacifico è impensabile che l’anno prossimo non venga riconfermata Opzione donna e venga introdotta Quota 104 con penalizzazioni.

Fuori Opzione donna, dentro Quota 104

Il Governo Meloni continua a lavorare sulla Riforma pensioni in programma per il prossimo anno. Tuttavia è improbabile che il 2025 veda l’introduzione della tanto decantata Quota 41 senza limiti anagrafici. È invece probabile che l’Esecutivo decida di approvare Quota 104, la misura di anticipo pensionistico che permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione con 63 anni di età e 41 anni di contributi, con tagli consistenti sull’assegno. Inoltre, anziché allargare l’anticipo alle categorie lavorative che svolgono professioni usuranti e sono facili vittime di burnout (come il personale scolastico), sarebbero allo studio delle nuove regole che andrebbero ad innalzare i requisiti d’accesso e ci si starebbe preparando a dire addio ad Opzione donna.

Riforma pensioni sempre peggio, Anief: ‘Proposte irricevibili’

“Reputiamo queste proposte irricevibili” ha commentato il presidente Anief Marcello Pacifico. “Mentre riteniamo che basterebbe dare applicazione nella scuola alle medesime regole in vigore oggi per i lavoratori delle forze armate, dando inoltre la possibilità ad insegnanti e personale Ata di realizzare il riscatto gratuito degli anni di studio universitario più l’eventuale integrazione dei fondi bancari”. Per quanto riguarda l’età pensionabile e la spesa pensionistica, Pacifico ha ribadito: “Riteniamo che non si può obbligare la maggior parte dei dipendenti a lasciare il lavoro alle soglie dei 70 anni. E poi ci dicono che la spesa continua a crescere: negli ultimi sei anni l’incremento è stato di 70 miliardi. C’è qualcosa che non va, perché i requisiti per lasciare il servizio e le somme percepite una volta pensionati stanno diventando sempre più sfavorevoli ai lavoratori”.

Anief ha infine ricordato che l’aumento della spesa sociale legata all’Inps potrebbe essere contrastato. Secondo il sindacato, sarebbe sufficiente che lo Stato pagasse mensilmente sia i contributi ai 3,5 milioni di dipendenti pubblici, sia la sua parte di TFR/TFS. In questo modo si potrebbero risanare i conti e permettere ai lavoratori di andare prima in pensione.