riforma Valditara

Prosegue il dibattito dopo che il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha annunciato di voler riformare i programmi didattici di ogni ordine e grado. le novità dovrebbero entrare in vigore a partire dall’a.s 2026/27. A colpire è stata soprattutto l’introduzione della lettura della Bibbia già dalla scuola primaria e la reintroduzione (seppur facoltativa) del latino nella scuola secondaria di primo grado. Ma non solo. Anche la maggiore attenzione che si vuole riservare all’arte e alla musica è stata oggetto di riflessione. Svariati sono stati i punti di vista che si sono succeduti da parte di chi conosce da vicino sia la ‘macchina’ scolastica sia gli studenti. Nelle scorse ore sull’argomento si è espresso anche, sul proprio profilo Facebook, il Professor Daniele Trabucco, docente universitario strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto ad Ordinamento universitario “San Domenico” di Roma, di cui abbiamo voluto riportare alcuni stralci.

Una riforma che non risolve nulla: “Scuole ridotte a ‘para-aziende’ e digitalizzazione massiva”

Nel parlare del ritorno al latino dalle medie e dell’introduzione alla lettura della Bibbia alle elementari, oltre all’interesse che la riforma Valditara vorrà dedicare all’approfondimento della storia d’Italia nonchè alla maggiore attenzione alla musica e alla civiltà musicale, il Prof Trabucco ha voluto dare uno spunto di riflessione, mostrandosi solo in parte soddisfatto dei cambiamenti che si vogliono apportare. La scuola avrebbe bisogno in realtà di un cambiamento più radicale, volto a ricomporre i pezzi in cui è stata smantellata nel corso degli anni: “Di per sé sono iniziative lodevoli e pure condivisibili. Tuttavia, si corre il rischio di guardare il dito e non la luna. Perché non serve ad alcunché una riforma delle discipline di studio e dei relativi programmi se non cambia radicalmente la struttura della scuola fatta a pezzi dagli Esecutivi precedenti.

A decorrere dal 1997 gli istituti scolastici sono divenuti, grazie all’avvio dell’autonomia scolastica, vere e proprie “para-aziende” verticistiche e dominate dalla burocrazia (fin dalla selezione dei docenti), dove alla vera conoscenza si è sostituita la certificazione delle competenze e delle abilitá che riducono gli studenti a “capitale umano dequalificato”, perdendo la loro dimensione di persone a tutto tondo da valorizzare, educare, far crescere e meravigliare nel senso aristotelico del termine. Per non parlare del carico che grava sugli insegnanti sottoposti, in base all’allucinante decreto-legge n. 36/2022 convertito, con modificazioni, nella legge formale n. 79/2022, a formazione coatta fatta di strumenti e tecniche di progettazione-partecipazione a bandi nazionali ed europei.

E, da ultimo, la digitalizzazione massiva che tocca ogni aspetto della vita della scuola e che compromette la dimensione relazionale. In realtà, che cosa volete che questa conti di fronte agli “ambienti di apprendimento innovativi” finanziati con i fondi del Piano nazionale di ripartenza e resilienza. Ora, anzichè porre le premesse per un “cambio di rotta”, senza il quale il latino, la Bibbia etc. diventano solo uno strumento nostalgico-conservatore, perché non si interviene in maniera radicale sulla “visione” della scuola? Solo in questo modo si potrà consentire alle materie di cui sopra di esplicare al meglio la loro funzione di sviluppo pieno della persona, dotata di una ratio autenticamente contemplativa.

In definitiva, una riforma che non parte dalle basi, andando ad incidere dapprima sulle problematiche che attanagliano la scuola e sulla visione della stessa, non sarà in grado di produrre gli effetti sperati, senza nemmeno permettere ai nuovi programmi scolastici di innovare il sapere e migliorare concretamente la didattica e l’apprendimento.