Risultato impietoso quello che è scaturito dal Rapporto Svimez 2024, dedicato all’Economia e la società del Mezzogiorno: l’Italia si colloca all’ultimo posto per gli investimenti nella scuola. Il rapporto si è concentrato in particolare sull’andamento della denatalità, lo spopolamento delle scuole, gli spostamenti dal Sud al Nord. Il dato più evidente è quello secondo cui il Mezzogiorno ha avuto un calo del 9% di iscritti a scuola nel 2022-23 rispetto agli anni precedenti; quanto agli insegnanti anche in questo caso ci sono differenze territoriali interne: il rapporto è di 11 alunni per docente nel Centro-Nord, mentre nel Mezzogiorno il dato scende a 9. Le regioni con il numero più alto di alunni per docente sono Lombardia (12,6) Emilia-Romagna e Veneto (12,4). Quelle con il rapporto più basso sono Molise (7,5) Basilicata (8,2) e Sicilia (8,5). E ancora: gli istituti dotati di mensa al Sud si attestano sul 26%, contro il 54% del Centro-Nord. Tutti questi numeri sembrerebbero ruotare intorno alla scarsa attenzione data proprio al settore scolastico negli ultimi anni. Sul tema è intervenuto il sindacato Anief.

“Riparare alle gravi mancanze”

Secondo Anief i dati confermano gli errori compiuti negli ultimi decenni sulla scuola: ai bassi investimenti pubblici per l’Istruzione, si è aggiunta una politica di sostanziale indifferenza rispetto ai bisogni e alle esigenze, anche di carattere sociale, come la riduzione del tasso demografico, che avrebbero meritato risposte importante anche sul piano normativo. Il sindacato non si spiega perché chi governa la scuola si riferisca continuamente alla didattica più personalizzata, a partire dagli alunni con bisogni speciali, e poi non si attivi per introdurre un maggiore numero di insegnanti e meno alunni per classe: tagliare gli organici, come è stato deciso con la prossima legge di bilancio, non è minimamente coerente rispetto agli intenti.

In Italia – ha spiegato Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – paghiamo un dazio rilevante dovuto ad una sostanziale indifferenza verso la società mutevole. Non abbiamo mai compiuto passi decisivi ad esempio, sul tempo pieno e prolungato a scuola, nelle zone del Sud. Come non sono stati mai introdotti degli organici maggiorati nelle zone del Paese dove i livelli di apprendimento si riducevano e i tassi di dispersione si alzavano: siamo arrivati al punto che l’unico organico aggiuntivo, quello Ata collegato al Pnrr e all’Agenda Sud, introdotto lo scorso anno scolastico, si è dissolto nel nulla e senza alcuna spiegazione.

Noi, come sindacato autonomo rappresentativo abbiamo chiesto di recente di riparare alla grave mancanza con l’attivazione dal primo gennaio 2025 di migliaia di contratti Ata per quell’organico aggiuntivo che rimane indispensabile per portare avanti i progetti Pnrr e le attività anti-dispersione: come segnalato anche da dirigenti Scolastici l’attivazione di questi contratti è infatti indispensabile per il funzionamento delle istituzioni scolastiche. Come pure avrebbero effetti certamente positivi le stabilizzazioni di tutti i precari con oltre 36 mesi di servizio svolto, attraverso l’introduzione del doppio canale di reclutamento, ma anche l’assunzione in ruolo dei docenti idonei presenti in tutte le graduatorie concorsuali per abbattere finalmente quel precariato che è alla base dalla mancata continuità didattica”.

Pacifico ha poi concluso: “Certamente avrebbero avuto effetti positivi a lungo termine anche provvedimenti come la riduzione del numero di alunni per classe, il ritorno dei docenti in copresenza, a partire dalla scuola primaria, l’inizio della scuola a cinque anni anziché a sei, la nomina di insegnanti aggiuntivi nelle aree a rischio per alta presenza di alunni stranieri e elevati livelli di abbandono della scuola”.